La Corte Costituzionale, esaminando il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri avverso alcune disposizioni regionali lombarde che modificano la legge regionale per il governo del territorio n. 12 del 2005, intervenendo sui principi relativi alla pianificazione delle attrezzature per i servizi religiosi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:

  • dell’art. 70, commi 2-bis, limitatamente alle parole «che presentano i seguenti requisiti:» e alle lettere a) e b), e 2-quater, della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), introdotti dall'art. 1, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 3 febbraio 2015, n. 2, recante «Modifiche alla legge regionale 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) – Principi per la pianificazione delle attrezzature per servizi religiosi»; 
  • dell’art. 72, commi 4 e 7, lettera e), della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, introdotti dall'art. 1, comma 1, lettera c), della legge della Regione Lombardia n. 2 del 2015.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 63 del 24 marzo 2016 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.


La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), nella parte in cui prevede «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed».
Dalla dichiarazione di incostituzionalità consegue la parificazione della risposta sanzionatoria nei confronti dei reati incidenti su beni paesaggistici, con la riconduzione delle condotte incidenti sui beni individuati in via provvedimentale alla fattispecie incriminatrice di cui al comma 1, salvo che, al pari delle condotte incidenti sui beni tutelati per legge, si concretizzino nella realizzazione di lavori che comportino il superamento delle soglie volumetriche indicate al comma 1-bis.
Consegue inoltre che le condotte incidenti sui beni paesaggistici individuati in via provvedimentale, consistenti nella realizzazione di lavori che non comportino il superamento delle soglie volumetriche ivi indicate, e ora regolate dal comma 1 dell’art. 181, possono beneficiare degli istituti della non punibilità per accertamento postumo della compatibilità paesaggistica e della estinzione del reato per ravvedimento operoso, rispettivamente previsti dall’art. 181, comma 1-ter, e comma 1-quinquies, che richiamano appunto il comma 1 per definire il loro ambito di applicazione.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 23 marzo 2016 è consultabile sul sito della Corte Costituzionale.


Secondo il Consiglio di Stato, Sezione Sesta, il giudizio di ottemperanza ha la finalità di dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza resa all'esito del giudizio di cognizione e il suo perimetro, soggettivo e oggettivo, non può essere più ampio di quello del giudizio di cognizione (cfr. art. 112 e seguenti c.p.a.); il ricorso per ottemperanza non può, pertanto, essere proposto da soggetti che non sono stati parte del processo di cognizione e, conseguentemente, non si può utilmente impiegare lo strumento dell’ottemperanza per ottenere una estensione soggettiva del giudicato.

Il testo della sentenza n. 1163 del 21 marzo 2016 della Sezione Sesta del Consiglio di Stato è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


Sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 67 del 21 marzo 2016, è stato pubblicato il  decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 febbraio 2016, n. 40, recante il "Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione  del processo amministrativo telematico".

La Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 67 del 21 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Gazzetta Ufficiale  


Il TAR Sicilia, sede di Catania, esclude la propria giurisdizione in ordine alla domanda di accertamento di non debenza del contributo unificato per gli atti giudiziari, in base al combinato disposto dell’art. 13, comma 6 bis, secondo paragrafo, del D.P.R. n. 115 del 2001 e 2, comma primo, e 19, comma primo, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

La sentenza del TAR Sicilia, sede di Catania, Quarta Sezione, n. 813 del 16 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il Consiglio di Stato, in materia di requisiti di partecipazione ai concorsi pubblici, si è così pronunciato:

  • l’art. 2, comma 7, del dPR n. 487 del 1994 (per il quale «i requisiti prescritti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione»), pur riguardando l’accesso agli impieghi civili delle pubbliche Amministrazioni costituisce, tuttavia, espressione di un principio generale, strettamente connesso ai principi di imparzialità e di parità di trattamento dei candidati;
  • in coerenza col favor partecipationis nelle procedure di selezione pubbliche, la regola della necessità del possesso dei requisiti alla data di scadenza del termine per la presentazione delle domande comporta di per sé la trasparenza della determinazione amministrativa e la parità di trattamento di chi faccia parte della categoria di persone che possa partecipare alla selezione;
  • la determinazione di una data diversa – non coincidente con quella di scadenza del termine per la presentazione delle domande – implica di per sé il concreto rischio che possano esservi vantaggi solo per alcuni degli appartenenti della categoria, con esclusione degli altri e, dunque, ingiustificate disparità di trattamento;
  • il principio della maturazione dei requisiti alla data di scadenza della presentazione della domanda – a parte i casi espressamente previsti da una disposizione normativa – può essere derogato solo ove vi siano specifiche e comprovate ragioni di interesse pubblico, ad esempio quando si tratti di dare una ragionata esecuzione a statuizioni dei giudici ovvero qualora vi sia l’esigenza di rispettare una successione cronologica tra procedimenti collegati o di salvaguardare posizioni legittimamente acquisite dai soggetti interessati a concorsi interni.

Il testo della sentenza della Sezione Terza del Consiglio di Stato n. 965 in data 11 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Secondo il Consiglio di Stato, in sede di impugnazione di un'autorizzazione paesaggistica per l’installazione di un impianto fisso per telefonia mobile, per negare la legittimazione a ricorrere non è sufficiente la circostanza che le prescrizioni vincolistiche invocate dal ricorrente non siano dettate specificamente a tutela di un qualche suo diritto o interesse individuale, bensì genericamente a tutela di interessi “diffusi” appartenenti alla collettività indifferenziata; occorre, infatti, considerare la distinzione fra l’interesse tutelato che conferisce la legittimazione a ricorrere e il vizio di legittimità dedotto con il motivo d’impugnazione: una volta riconosciuti la legittimazione e l’interesse a ricorrere non è necessario che la norma che si assume violata coincida con quella da cui deriva il titolo del ricorrente.

Il testo della sentenza della Sezione Terza del Consiglio di Stato n. 980 in data 11 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenendo in merito alla possibilità per un soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese dell’Unione Europea di iscriversi nell'albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia, hanno enunciato il seguente principio di diritto:
In base alla normativa comunitaria volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale, il soggetto munito di un titolo equivalente a quello di avvocato conseguito in un Paese membro dell’Unione Europea, qualora voglia esercitare la professione in Italia, può chiedere l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati del foro nel quale intendere eleggere domicilio professionale in Italia. L’iscrizione è subordinata al possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 96 del 2001 e in sede di iscrizione il Consiglio dell’ordine degli avvocati non può opporre la mancanza di diversi requisiti – segnatamente quello della condotta specchiatissima ed illibata (art. 17, r.d.l. n. 1578 del 1933), ovvero, oggi, della condotta irreprensibile (art.17, della legge n. 247 del 2012) – prescritti dall'ordinamento forense nazionale, salvo il caso in cui la condotta del richiedente possa essere qualificata come abuso del diritto”.

La sentenza n. 4252 del 4 marzo 2016 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è consultabile sul sito della Corte di Cassazione.


La Corte Costituzionale, dopo aver premesso che:

  • nell'ambito della materia concorrente «governo del territorio», prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la DIA e per la SCIA che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi; 
  • tale fattispecie ha una struttura complessa e non si esaurisce, rispettivamente, con la dichiarazione o la segnalazione, ma si sviluppa in fasi ulteriori: una prima, di ordinaria attività di controllo dell’Amministrazione, una seconda, in cui può esercitarsi l’autotutela amministrativa; 
  • le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione, una volta che siano decorsi i termini in questione, debbano considerarsi il necessario completamento della disciplina di tali titoli abilitativi, poiché l'individuazione della loro consistenza e della loro efficacia non può prescindere dalla capacità di resistenza rispetto alle verifiche effettuate dall'Amministrazione successivamente alla maturazione degli stessi; 
  • la disciplina di questa fase ulteriore è parte integrante di quella del titolo abilitativo e costituisce con essa un tutt'uno inscindibile e il suo perno è costituito da un istituto di portata generale – quello dell’autotutela – che si colloca allo snodo delicatissimo del rapporto fra il potere amministrativo e il suo riesercizio, da una parte, e la tutela dell’affidamento del privato, dall'altra; 
  • anche per questa parte la disciplina in questione costituisce espressione di un principio fondamentale della materia «governo del territorio»;

dichiara incostituzionale una norma della Regione Toscana (art. 84 bis, comma 2, lettera b, della legge regionale 3 gennaio 2005 n. 1) che consentiva all'Amministrazione di esercitare poteri sanzionatori per la repressione degli abusi edilizi, anche oltre il termine di trenta giorni dalla presentazione della SCIA, in un numero di ipotesi più ampio rispetto a quello previsto dai commi 3 e 4 dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990.

Secondo la Corte Costituzionale, la normativa regionale scrutinata, nell'attribuire all'Amministrazione un potere di intervento, lungi dall'adottare una disciplina di dettaglio, ha introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale; pertanto, viene proprio a toccare i punti nevralgici del sistema elaborato nella legge sul procedimento amministrativo e cioè il potere residuo dell’Amministrazione, a termini ormai decorsi, e il suo ambito di esercizio; essa, dunque, comporta l’invasione della riserva di competenza statale alla formulazione di principi fondamentali, con tutti i rischi per la certezza e per l’unitarietà della disciplina che tale invasione comporta.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 49 del 9 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Corte Costituzionale.


Secondo il Consiglio di Stato, la retroattività della legge, sebbene non costituzionalmente preclusa nelle materie diverse da quella penale, rappresenta un’eccezione e, come tale, richiede una esplicita previsione che renda chiara ed univoca la scelta del legislatore, dovendosi, in mancanza di una previsione univoca, optare per l’interpretazione che esclude la retroattività, in conformità ai principi generali dell’ordinamento giuridico.

Il principio di irretroattività, invero, sebbene non costituzionalizzato fuori dalla materia penale:
  • rappresenta un principio generale dell’ordinamento, come si desume dall'art. 11 della Preleggi, che espressamente statuisce che la «legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo»;
  • trova un suo fondamento ulteriore nei principi di tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, la cui crescente importanza è confermata anche dalla giurisprudenza sovranazionale, tanto della Corte di giustizia quanto della Corte europea per la tutela dei diritti dell’uomo;
  • assume un rilievo ancora maggiore laddove la legge in ipotesi retroattiva consenta l’adozione di provvedimenti sostanzialmente ablatori, in grado di produrre nella sfera giuridica del privato effetti fortemente negativi.
Il testo della sentenza della Sezione Sesta del Consiglio di Stato n. 882 del 3 marzo 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.



Pubblicato sul BURL il regolamento 1 marzo 2016 n. 4, che disciplina il funzionamento della Banca della Terra Lombarda in attuazione dell’art. 31 quinquies, comma 8, della legge regionale 5 dicembre 2008, n. 31 «Testo unico delle leggi regionali in materia di agricoltura, foresta, pesca e sviluppo rurale».

Il BURL, Supplemento n. 9 del 4 marzo 2016, è consultabile sul sito del BURL.


Il Consiglio di Stato ritiene illegittima la previsione contenuta in un piano territoriale di coordinamento di un Ente Parco lombardo avente a oggetto il divieto di installazione di industrie insalubri nelle zone di iniziativa comunale in quanto, introducendosi un generale divieto di istallazione di industrie insalubri nelle zone di iniziativa comunale, per un verso, si determina una ampia e generalizzata compressione dell’iniziativa economica privata tutelata dall’art. 41 Cost., per altro verso, si introduce una disciplina che, pur se astrattamente connessa alle finalità di tutela dell’ambiente, in realtà si impone, in difetto di competenza del soggetto adottante, in senso restrittivo alla normativa statale in materia sanitaria (artt. 216 e 217 TULS).

Il testo della sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 817 del 29 febbraio 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 3 marzo 2016, ha approvato in esame preliminare il decreto legislativo di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori speciali dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché sul riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.


Il Consiglio di Stato esamina, alla luce della vigente legislazione lombarda in materia, i rapporti tra piano territoriale di coordinamento dell'Ente Parco e altri strumenti di pianificazione del territorio, con particolare riguardo al piano cave e perviene alle seguenti conclusioni:
  • i piani territoriali di coordinamento, da adottarsi da ciascun Ente Parco, hanno finalità di tutela dell’ambiente latamente inteso, si impongono ad altri strumenti di pianificazione territoriale, ivi compresi i piani regolatori comunali, ma, al tempo stesso, devono essere coerenti con la legge regionale lombarda n. 86 del 1983 e con gli atti generali da questa previsti, nonché adeguarsi agli atti di programmazione e pianificazione regionale e alle disposizioni di legge in materia;
  • il piano territoriale di coordinamento dell’Ente Parco risulta essere sovraordinato, oltre che agli altri atti di pianificazione indicati nell'art. 18 della legge regionale lombarda n. 86 del 1983, anche al piano delle cave, disciplinato dalla legge regionale lombarda n. 14 del 1998.

Il testo della sentenza della Sezione Quarta del Consiglio di Stato n. 817 del 29 febbraio 2016 è consultabile sul sito istituzionale della Giustizia Amministrativa.


L’Avvocato Generale avanti alla Corte di Giustizia UE ha proposto alla Corte di rispondere nel modo seguente alle questioni pregiudiziali sollevate dal TAR Lombardia e dal TAR Sardegna aventi ad oggetto la compatibilità con il diritto dell’Unione della reiterata proroga (cfr. art. 1, comma 18, del decreto legge 30 dicembre 2009 n. 194, convertito dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25) del termine di scadenza di concessioni di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale di rilevanza economica:
L’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che proroga automaticamente la data di scadenza delle autorizzazioni relative allo sfruttamento del demanio pubblico marittimo e lacuale”.

Il testo integrale delle conclusioni dell’Avvocato Generale avanti alla Corte di Giustizia UE del 25 febbraio 2016 (causa C-458/14 e C-67/15) è consultabile sul sito istituzionale della Corte di Giustizia.


L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, alla quale era stata rimessa la questione se l’obbligo degli istituti previdenziali di invitare l’interessato alla regolarizzazione del DURC (c.d. preavviso di DURC negativo) sussista anche nel caso in cui la richiesta provenga dalla stazione appaltante a seguito della verifica della dichiarazione resa dall'impresa in sede di partecipazione alla gara, ha così statuito:

«Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non sono consentite regolarizzazioni postume della posizione previdenziale, dovendo l’impresa deve essere in regola con l’assolvimento degli obblighi previdenziali ed assistenziali fin dalla presentazione dell’offerta e conservare tale stato per tutta la durata della procedura di aggiudicazione e del rapporto con la stazione appaltante, restando dunque irrilevante, un eventuale adempimento tardivo dell’obbligazione contributiva. L’istituto dell’invito alla regolarizzazione (il c.d. preavviso di DURC negativo), già previsto dall'art. 7, comma 3, del decreto ministeriale 24 ottobre 2007 e ora recepito a livello legislativo dall'art. 31, comma 8, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69 può operare solo nei rapporti tra impresa ed Ente previdenziale, ossia con riferimento al DURC chiesto dall'impresa e non anche al DURC richiesto dalla stazione appaltante per la verifica della veridicità dell'autodichiarazione resa ai sensi dell’art. 38, comma 1, lettera i) ai fini della partecipazione alla gara d’appalto».

La sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 6 del 29 febbraio 2016 è consultabile sul sito della Giustizia Amministrativa.


Ricordiamo che il 18 marzo 2016 si terrà a Sondrio, Sala Conferenze Enrico Vitali del Credito Valtellinese, via delle Pergole 10, dalle ore 15.00 alle ore 18.00, il terzo evento formativo del 2016 organizzato dalla Camera Amministrativa dell'Insubria dal titolo "Il regime delle distanze nel diritto civile, amministrativo e penale"  (relatori avv. Mario Lavatelli, avv. Lorenzo Spallino e avv. Maurizio Carrara).
L'Ordine degli Avvocati di Sondrio ha accreditato l'evento riconoscendo 3 crediti formativi.
L’iscrizione avviene attraverso l’area web FormaSFERA dal 2 marzo 2016 al 16 marzo 2016.
Per gli avvocati che non appartengono all'Ordine degli Avvocati di Sondrio e non utilizzano la piattaforma FormaSFERA l’iscrizione può avvenire telefonando alla Segreteria dell’Ordine degli Avvocati di Sondrio (0342/216346).